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Trauma: la risposta del corpo

2025-10-20 18:00

Dafne Pandolfo

Trauma e gossip,

Trauma: la risposta del corpo

Il trauma priva l’individuo della possibilità di essere padrone del proprio corpo e della propria mente e, dunque, di sé stesso.

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Negli ultimi decenni, la psicologia e le neuroscienze hanno modificato profondamente il modo di comprendere il trauma e le sue conseguenze.  Ad oggi, infatti, non è più possibile descrivere il trauma come un evento puramente “mentale”, ma come un’esperienza che coinvolge profondamente il corpo e i suoi processi fisiologici, i suoi sistemi di difesa e le sue memorie implicite.

 

Nel tempo è inoltre accresciuto l’interesse clinico nei confronti delle esperienze traumatiche e della necessità di differenziare il trauma nelle sue diverse forme, a seconda della sua origine, della durata e del significato soggettivo attribuito. In particolare, oltre ad eventi traumatici manifesti quali abusi, violenze, incidenti, guerre, deportazioni, attacchi terroristici o catastrofi naturali, la clinica riconosce forme più sottili ed invisibili di esperienza traumatica, tra cui la trascuratezza emotiva (neglect), la perdita di figure di attaccamento, la violenza psicologica o relazionale, il mobbing e lo stalking, fino al trauma legato a diagnosi o esperienze mediche invasive. Pertanto, risulta opportuno distinguere i traumi singoli o acuti, legati ad eventi improvvisi e circoscritti, dai traumi complessi e ripetuti, dovuti ad esperienze croniche di minaccia alla propria incolumità, abuso o abbandono, spesso vissute in età evolutiva. Queste esperienze, soprattutto quando mancano figure protettive o relazioni di sostegno, possono dare origine a forme di sofferenza profonda e duratura, che si esprimono non solo con sintomi psicologici, ma anche attraverso il corpo.

 

Pertanto, è necessario comprendere il trauma come una risposta biologica ad un’esperienza di minaccia, che eccede la capacità dell’individuo di elaborarla ed integrarla e della quale, dunque, i segni sono rintracciabili nella memoria corporea.

 

La fisiologia del trauma: cosa accade nel corpo

 

Robert Macy, presidente dell’International Trauma Center (Boston), definisce il trauma come “una richiesta eccessiva sulle spalle del sistema fisiologico umano” e questa considerazione sottolinea il ruolo del Sistema Nervoso Autonomo e la sua implicazione nelle conseguenze delle esperienze traumatiche. Quest’ultimo, infatti, ha il compito di assicurare al nostro corpo la sopravvivenza in situazioni di pericolo e di favorire il riposo e il recupero delle energie nei momenti sicuri.

Tuttavia, quando ci troviamo di fronte ad un evento traumatico, le risposte fisiologiche difensive possono essere compromesse.

 

In risposta ad un evento traumatico, il Sistema Nervoso si attiva immediatamente. L’amigdala, struttura cerebrale implicata nell’elaborazione emotiva e nella segnalazione del pericolo, innesca la risposta di attacco o fuga (fight or flight). Nel caso in cui, però, la minaccia venga percepita come inevitabile o schiacciante, il corpo può entrare in uno stato di immobilità o “freezing”, difesa tipica del mondo animale. Questa reazione, mediata dal nervo vago dorsale (Porges, 2011), è una strategia di sopravvivenza estrema: il corpo “si spegne” per tollerare l’insopportabile, bloccandosi nella “modalità sopravvivenza”, che consente all’individuo di restare in vita, impedendogli però, poi, di ripristinare uno stato di calma ed integrazione.

 

Le conseguenze di questa disregolazione fisiologica si possono manifestare attraverso ripercussioni fisiche, alterazioni cognitive e una continua ricerca di sollievo e sicurezza per fronteggiare la sofferenza. L’essere umano, infatti, è per sua stessa natura, portato a ricercare una connessione con l’altro, tramite cui coregolarsi e ripristinare un equilibrio e attraverso cui stabilire una base sicura. Spesso, successivamente al trauma accade che gli individui, nonostante il desiderio di legarsi, in mancanza di qualcuno che trasmetta loro la sicurezza necessaria per avvicinarsi, smettono di cercare questa connessione, tendendo, così, all’isolamento e alla solitudine.

 

Infatti, un’esperienza può divenire psicologicamente traumatica, cioè «lesiva dell’integrità-continuità delle funzioni essenziali dell’apparato mentale» non tanto per la presenza di stimoli di paura o di dolore, ma soprattutto per l’assenza di relazioni sociali che intervengano per offrire protezione o per attenuare il dolore stesso (Liotti, 2005, p.132). Questa condizione di solitudine cronica causa a sua volta un incremento dello stato di allerta nei confronti di possibili minacce, aumentando un costante senso di pericolo, un continuo e maggiore rilascio di cortisolo, l’ormone dello stress, che predispone l’individuo a problematiche strettamente legate alla funzione autonomica, tra cui un sistema immunitario compromesso, malattie cardiache e depressione.

 

Pertanto, il trauma, se non adeguatamente elaborato, è destinato a ripetersi, rivive nel corpo, nei processi fisiologici, cognitivi ed emotivi, provocando in particolare, un’iperattivazione del sistema nervoso e l’incapacità di rilassarsi, insonnia, depressione ed anedonia, stati dissociativi, flashback e ricordi intrusivi, difficoltà di concentrazione e di memoria, perdita di interesse, irritabilità costante ed improvvisi scoppi d’ira, ansia e attacchi di panico. Inoltre, nei casi più complessi, laddove i sintomi tendono a protrarsi nel tempo, acquisendo una gravità clinicamente significativa, si struttura nell’individuo un vero e proprio Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD), anch’esso accompagnato da correlati fisici e somatici conseguenti al trauma, quali tensioni muscolari, cefalea, disturbi gastrointestinali, alterazioni ormonali e stanchezza cronica. Inoltre, spesso il quadro sintomatologico e patologico delle vittime di traumi è aggravato progressivamente dall’abuso di sostanze, alcool o farmaci, usati come forma disfunzionale di autocura, per alleviare i sintomi somatici e le alterazioni cognitive, per cercare, quindi, di anestetizzare il corpo e “spegnere” i pensieri.

 

Il trauma, -dal greco “ferita”, “lacerazione” -ha innescato, così, in assenza di una salvifica connessione sociale, un circolo vizioso e distruttivo. Pertanto, riconnettere mente e corpo, sé e altri, rappresenta il primo passo verso la guarigione.

 

Il trauma: la memoria del corpo

 

Secondo Bessel Van der Kolk, psichiatra e pioniere nella ricerca e nel trattamento dello stress post traumatico, “il corpo accusa il colpo” (The Body Keeps the Score). Le esperienze traumatiche non si limitano, infatti, alla memoria narrativa, ma vengono immagazzinate nelle strutture somatiche e sensoriali, come tensioni muscolari croniche, disturbi gastrointestinali o alterazioni dei ritmi cardiaci e sonno-veglia. In questi casi, il corpo diventa il teatro dove si ripetono le tracce non elaborate dell’esperienza, spesso al di fuori della consapevolezza.

 

Il trauma non si limita a ciò che accade, ma riguarda anche ciò che non può essere processato. Questo dipende da vari fattori, quali la connotazione soggettiva che assume l’evento traumatico, la predisposizione genetica dell’individuo, la sua personalità, le risorse personali ed ambientali e soprattutto la possibilità di ripristinare o meno la sensazione di sicurezza.

 

La persona traumatizzata sperimenta, infatti, una vera e propria frattura tra corpo, emozioni e cognizione: sente ma non comprende, ricorda ma non riesce ad esprimersi, o al contrario racconta senza sentire. Questa disconnessione è frutto di una serie di meccanismi di difesa, prima fra tutti la dissociazione, che agiscono in un primo momento a protezione dell’individuo, ma che nel tempo ostacolano la possibilità di reintegrare l’esperienza a livello cosciente. Infatti, molti individui sopravvissuti a storie traumatiche hanno difficoltà a comprendere le sensazioni e le conseguenze psicologiche del trauma, in quanto, lo stato di spegnimento che li ha salvati rappresenta anche uno stato dal quale non possono facilmente uscire. Ciò può provocare nelle vittime un profondo senso di inadeguatezza, soprattutto nella nostra società, in cui si sperimentano incapaci di mobilizzarsi in modo efficace, sovrastati dalla vergogna e dal senso di colpa, per i quali non percepiscono più l’errore nella minaccia, quanto ormai in sé stessi, giungendo così alla rivittimizzazione. La persona traumatizzata è vittima due volte, prima del trauma, poi di sé stessa.

 

Curare attraverso il corpo

 

Stephen Porges, neurofisiologo e psichiatra americano, ha dedicato gran parte delle sue ricerche allo studio delle risposte fisiologiche al trauma e al ruolo del Sistema Nervoso Autonomo, del nervo vago in particolare, nei pazienti sopravvissuti a storie traumatiche. Con la concettualizzazione della sua “Teoria Polivagale” (1994), Porges ha offerto una spiegazione plausibile di come un evento stressante o traumatico, possa innescare nell’individuo stati difensivi volti a rispondere alla minaccia, che compromettono a lungo termine, le funzioni omeostatiche dell’organismo e lo sviluppo della resilienza. Queste compromissioni si manifestano primariamente a livello fisico come sintomi viscerali o comportamentali, limitando all’individuo la possibilità stessa di ripristinare il trauma ed elaborarlo, attraverso lo sviluppo di nuove connessioni neurali basate su relazioni sociali di sicurezza.

 

Negli anni si sono sperimentate varie forme di intervento combinate all’utilizzo di farmaci specifici, ma  alla luce di ciò, gli approcci terapeutici contemporanei al trauma pongono sempre più attenzione alla dimensione corporea della guarigione ed in particolare, al ripristino della sensazione di sicurezza invalidata dal trauma attraverso la promozione di un contatto rassicurante, che consenta di rimodulare l’impatto dell’esperienza traumatica avversa e la relativa disregolazione emotiva e fisiologica.

 

Tra i principali modelli di intervento, che non si limitano all’elaborazione cognitiva dell’esperienza traumatica, ma che integrino il corpo come veicolo di consapevolezza e trasformazione, si distinguono soprattutto l’EMDR (Shapiro,2001), la Somatic Experiencing (Levine, 1997) e la Sensorimotor Psychotherapy (Ogden, Minton & Pain, 2006), ma anche approcci esperienziali come la DMT (Dance Movement Therapy), la Mindfulness e l’Analisi Bioenergetica (Lowen,1958).

 

Questi approcci rappresentano interventi specifici sul ricordo traumatico e lavorano per ristabilire la regolazione del sistema nervoso e ricostruire la sicurezza corporea. L’obiettivo non è “raccontare” il trauma, ma permettere al corpo di completare le risposte interrotte, trasformando l’energia congelata in movimento, respiro, presenza. In quest’ottica, dunque, la consapevolezza corporea, la regolazione del respiro, il contatto relazionale e la compassione diventano strumenti di reintegrazione.

 

Conclusione

 

La guarigione del trauma non può avvenire solo attraverso la parola, ma necessita di coinvolgere i processi fisiologici e sensoriali attraverso cui il trauma si è inciso. Queste considerazioni, risultano di fondamentale importanza per la progettazione di interventi terapeutici mirati ed efficaci, che siano in grado di promuovere un cambiamento duraturo nei pazienti, relativamente alla capacità di superare perturbazioni traumatiche con comportamenti e capacità cognitive flessibili, adattive e più resilienti.

 

Il trauma priva l’individuo della possibilità di essere padrone del proprio corpo e della propria mente e, dunque, di sé stesso. Pertanto, l’obiettivo primario per i pazienti profondamente segnati da eventi traumatici non è dimenticare, ma riconnettersi con la vita, ritrovare la capacità di rilassarsi e coinvolgersi sia a livello fisiologico che comportamentale, sperimentando i benefici di un’interazione sociale sicura. Curare il trauma ed elaborarlo significa restituire al corpo la possibilità di sentirsi al sicuro nel presente, come afferma Peter Levine, “la guarigione avviene quando la persona può sperimentare la sensazione fisica del pericolo passato, ma nel contesto di sicurezza del presente”.

 

 

Dott.ssa Dafne Pandolfo

 

 

Bibliografia

 

Dana D. (2018). The Polyvagal Theory in Therapy. Engaging the rhythm of regulation. W.W. Norton & Company, Inc., 500 Fifth Avenue, New York. Tr. It. La Teoria Polivagale nella terapia. Prendere parte al ritmo della regolazione. Roma, Giovanni Fioriti Editore, 2022.

 

Frewen, P., Lanius, R. (2015). Healing the Traumatized Self. Consciousness, Neuroscience, Treatment. W.W. Norton & Company, Inc., 500 Fifth Avenue, New York (Tr. It. La cura del Sé traumatizzato. Coscienza, neuroscienze, trattamento. Roma, Giovanni Fioriti Editore, 2017).

 

Levine, P. A. (1997). Waking the Tiger: Healing Trauma. North Atlantic Books.

 

Ogden, P., Minton, K., & Pain, C. (2006). Trauma and the Body: A Sensorimotor Approach to Psychotherapy. W. W. Norton & Company.

Porges, S. W. (2011). The Polyvagal Theory: Neurophysiological Foundations of Emotions, Attachment, Communication, and Self-regulation. W. W. Norton & Company.

 

Shapiro, F. (2001). Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR): Basic Principles, Protocols, and Procedures. Guilford Press.

Van der Hart, O., Nijenhuis, E. R. S., & Steele, K. (2006). The Haunted Self: Structural Dissociation and the Treatment of Chronic Traumatization. W. W. Norton & Company.

 

Van der Kolk, B. A. (2014). The Body Keeps the Score: Brain, Mind, and Body in the Healing of Trauma. Viking.

 

Sitografia

 

Costantini S. (2022). Il Corpo: la perdita dopo il Trauma/Strumento di cura. State of Mind https://www.stateofmind.it/2022/05/trauma-terapia-corpo/

 

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